Io ho un caro amico che
conosco da più di vent’anni e con cui mi diverto moltissimo. Ma non è sempre stato così. Quando ci
conoscemmo, nonostante fossimo adolescenti, non erano molte le occasioni di
vedersi perché lui era sempre malato di febbri misteriose. A 17 anni prendeva tante di quelle medicine ed antibiotici da conoscere a memoria lo scaffale di una farmacia. Un giorno però,
durante uno dei tanti pomeriggi passati a letto a curarsi, si stava annoiando a
morte, e cominciò a leggere un libro. Poi ne lesse un altro e un altro ancora. Senza
accorgersene, col tempo le febbri cominciarono a diminuire. Passarono prima giorni, poi
mesi e infine anni, senza essere costretto a prendere medicine. In compenso,
era diventato un divoratore di libri. L’altro giorno ha festeggiato i 5 anni dall’ultima
aspirina addirittura e per regalo che cosa si è comprato? Un libro, ovviamente.
Già, io ho un amico che si è salvato la vita perché ha cominciato a leggere
libri! Ne ha letti così tanti che l’altra settimana, non è più riuscito a
trattenere la gioia che gli è venuta nel cuore. Ha preso carta e penna e come
posseduto, come folgorato sulla via di Damasco ha cominciato a scrivere:
“Tutto quello che posso
dire senza neanche pensarci un attimo è comprare un libro, cercare una panchina
metà al sole e metà all’ombra e iniziare a leggere. A leggere sì, e magari
portarsi dietro anche una penna e un quaderno, perché se per caso si legge
qualcosa di miliare, dici porca miseria questo me lo devo segnare, se solo
avessi carta e penna. E tu..zac! ce l’hai! E allora la scrivi. E scriverla è
una cosa diversa da leggerla. Sì perché ci metti del tuo, la ripeti mentre la
copi e poi va a finire che te la ricordi. Scrivere, scrivere, sì scrivere
dappertutto per ricordarti le cose devi fare, quelle da sapere e quelle da
dimenticare. Così hai la testa più libera, meno ingombrata. Per cosa? Per
leggere, ovvio!!
Per scoprire che i
prepotenti sono sempre esistiti, che la peste falciava vite, ma i ragazzi ci
credevano lo stesso. Altro che lamentarci perché non ci rivolgiamo un saluto,
con la peste famiglie intere venivano sprangate in casa per evitare che si diffondesse
il contagio, ma un Renzo e una Lucia e un fra Cristoforo, li si trovava sempre.
Anche nel 1600. Sì perché c’era il vigliacco che non osava dire niente come Don
Abbondio, esisteva da secoli anche un Azzeccagarbugli, uno di quegli avvoltoi
travestiti da avvocato forte con i deboli e debole con i forti. E poi c’era un
Don Rodrigo prepotente e smargiasso, e un altro ancora più potente di lui.
Talmente potente che non lo si poteva nemmeno chiamare per nome tanto faceva
tremare di paura la povera gente. Un innominabile, l’Innominabile!
Ma alla fine chi doveva
schiattare schiattava per le proprie malefatte e la vita riprendeva il suo corso.
Non ci siamo mica estinti. Un Renzo e Lucia che fanno figli ci sono e ci
saranno sempre. Come ci saranno sempre le suocere…Ah la suocera terribile! ma
senza Agnese come si sarebbe potuto fare?
E ci saranno sempre
persone che faranno incredibili cacce al tesoro inseguendosi nei libri, e
apparecchieranno la tavola e prepareranno una cena squisita per gli scrittori loro
preferiti. Per ringraziarli dei regali ricevuti e pagati spesso a caro prezzo
da loro stessi in prima persona, fra un elettroshock e l’altro magari, o resistendo
ai morsi di decine di Don Rodrigo, solo per raccontarci una bella storia, una
di quelle che poi capita che ti ci ritrovi proprio tu!
E allora, ti metti a scrivere.
A scrivere per gratitudine, per ricambiare almeno un grammo di ciò che hanno fatto
per te. E ringrazi, dici grazie. Prima a loro, poi ti guardi intorno e non ti
fermi più: dici grazie alla tua penna, a chi si alza tutte le mattine per andare a lavorare nella fabbrica per
farle, dici grazie alla carta, all’albero che te l’ha data e agli uomini che
l’hanno lavorata. Ringrazi la panchina su cui siedi, chi l’ha saldata e chi
l’ha verniciata, dici grazie ai vestiti che indossi, agli occhiali che porti. A
chi li ha inventati e a chi li ha fatti. Quante centinaia di persone a cui dire
grazie solo per il semplice fatto di essere seduto al parco con in mano un
libro, una penna e un foglio!
Ti viene voglia di fare
qualcosa di buono per gli altri, di fare la tua parte, per tutti quelli a cui
devo dire grazie per quel momento di pura felicità. E che è ora di svuotare la
testa e mettere su di un foglio. Perché sgombrare la testa? Ma per leggere,
ovvio!”