lunedì 23 aprile 2012

Arbres Magiques


Li pettino, poi li spettino. Tutte le mattine. Ogni santo giorno mi alzo, sbadiglio e  voilà. Le  chiome si piegano dolci e poi ritornano come prima. Mi danno il buongiorno così. Mi aspettano.  Io allora rispondo e loro si piegano di nuovo. A volte andiamo avanti per ore. Il giorno che ho creato gli alberi credo di essermi superato. Non ero certo stato con le mani in mano fino a quel momento, anzi. Mi ero già dato un gran da fare: il cielo, i mari, le montagne. Ma ero particolarmente ispirato il giorno che ho creato gli alberi. Ricordo di aver pranzato con un’insalata di luce, per rimettermi dopo aver finito di riempire gli abissi. Un’attività anche divertente all’inizio, ma mano a mano che il livello delle acque si alzava, il fondo scompariva e cominciavo ad annoiarmi. Mi prudeva pure dietro un orecchio e ho iniziato a grattarmi, ma ero così concentrato sulla vasca che si andava riempendo, da non accorgermi che a forza di ravanare, il cielo si era popolato di stelle. Mi sono voltato dopo un po’e sono rimasto sorpreso. Davvero sorpreso. Adoro quando faccio le cose senza pensarci. Sono quelle che mi vengono meglio. Comunque, so che non dovrei avere figli e figliastri ed infatti non ne ho, ma che dire, gli alberi per me sono un gran diletto. Danzano tutto il giorno, a volte mi diverto a farmi fare il solletico sotto la barba o la pancia, altre li suono come una grande orchestra. I baobab africani tengono il ritmo, sono dei bassi formidabili. Avete mai fatto caso agli animali della savana? Talvolta come rispondendo ad un impercettibile ordine, intere mandrie si muovono insieme correndo di qua e di là, come se avessero un’unica grande anima. Sono io che suono i baobab, ineguagliabili subwoofer della terra che scotta. La savana trema ed inizia il rave: leoni, gazzelle, zebre, giraffe, antilopi. Vamos a bailar!
E poi le querce, i cipressi, le betulle, gli olivi, i ciliegi, gli eucalipti, i castagni e i salici da ogni parte del mondo cominciano a suonare un allegro con linfa, un lento piangente o magari un fiorito trionfante.
In testa infine, ci sono loro, i pini, i miei primi violini. Così devoti, così disciplinati.
Suonano per ore, a volte per interi giorni, incessantemente, concentrati da non accorgersi del succedersi delle stagioni: caldo, freddo, neve o pioggia, non perdono un ago, un accordo, un tono di verde. D’inverno si piegano, indossano il mantello bianco, come gli esseri umani quando si mettono dei pesi alle caviglie o ai polsi, per sviluppare i muscoli. Gli uomini se li mettono anche in casa vestendoli di palle colorate e strenne d’argento. E loro si prestano, come pagliacci di corsia che portano un sorriso nei cuori sofferenti dell’umanità. Accidenti agli uomini! Che grattacapo! Li avevo lasciati per ultimi, volevo concludere in bellezza. Ci ho pensato su, mi sono concentrato, volevo fossero la ciliegina sulla torta. Li ho creati più evoluti di tutti, ma non fanno che cadere, inciampando di continuo sui propri passi. Invece di guardare su e gioire con tutti noi, si guardano i piedi con il moccio al naso. Li potrei spostare di pianeta e la maggiorparte di loro neppure se ne accorgerebbe. Ogni tanto mi viene voglia di tirare fuori gli ippopotami dall’acqua e scambiarli di posto. Almeno il naso colerebbe per un motivo valido. È che li dovevo fare senza pensarci, come le stelle. Lo sapevo! Vabbè, solo chi non fa non sbaglia mai niente. Vanno bene anche così…ci metteranno solo un po’ di più a tirare su il naso, noi nel frattempo ci divertiamo. Quando vorranno unirsi, saranno i benvenuti. Intanto, mi studio che strumenti far loro suonare, però senza pensarci troppo questa volta, se no è peggio. Ecco, ci sono! Che comincino dal campanello per entrare! Glielo ho nascosto in pancia, magari lo trovano prima di finire di riempirmi di plastica e petrolio tutto il pianeta. Che non ho ancora capito cosa ci sia di divertente nel farlo. Boh.. che gusti strani hanno sviluppato. Mannaggia a quando ho fatto camminare su due piedi quelle scimmiette stolte! Tempo, ci andava più tempo. Ho avuto fretta di farli subito grandiosi e la fretta è l’unica cosa rimasta loro appiccicata addosso. Su, alzate sta testa, che vi aiuto! Suonate il campanello che vi vengo ad aprire.

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