venerdì 27 aprile 2012

Profezia a breve termine


Io ho un caro amico che conosco da più di vent’anni e con cui mi diverto moltissimo. Ma non è sempre stato così. Quando ci conoscemmo, nonostante fossimo adolescenti, non erano molte le occasioni di vedersi perché lui era sempre malato di febbri misteriose. A 17 anni prendeva tante di quelle medicine ed antibiotici da conoscere a memoria lo scaffale di una farmacia. Un giorno però, durante uno dei tanti pomeriggi passati a letto a curarsi, si stava annoiando a morte, e cominciò a leggere un libro. Poi ne lesse un altro e un altro ancora. Senza accorgersene, col tempo le febbri cominciarono a diminuire. Passarono prima giorni, poi mesi e infine anni, senza essere costretto a prendere medicine. In compenso, era diventato un divoratore di libri. L’altro giorno ha festeggiato i 5 anni dall’ultima aspirina addirittura e per regalo che cosa si è comprato? Un libro, ovviamente. Già, io ho un amico che si è salvato la vita perché ha cominciato a leggere libri! Ne ha letti così tanti che l’altra settimana, non è più riuscito a trattenere la gioia che gli è venuta nel cuore. Ha preso carta e penna e come posseduto, come folgorato sulla via di Damasco ha cominciato a scrivere:
“Tutto quello che posso dire senza neanche pensarci un attimo è comprare un libro, cercare una panchina metà al sole e metà all’ombra e iniziare a leggere. A leggere sì, e magari portarsi dietro anche una penna e un quaderno, perché se per caso si legge qualcosa di miliare, dici porca miseria questo me lo devo segnare, se solo avessi carta e penna. E tu..zac! ce l’hai! E allora la scrivi. E scriverla è una cosa diversa da leggerla. Sì perché ci metti del tuo, la ripeti mentre la copi e poi va a finire che te la ricordi. Scrivere, scrivere, sì scrivere dappertutto per ricordarti le cose devi fare, quelle da sapere e quelle da dimenticare. Così hai la testa più libera, meno ingombrata. Per cosa? Per leggere, ovvio!!
Per scoprire che i prepotenti sono sempre esistiti, che la peste falciava vite, ma i ragazzi ci credevano lo stesso. Altro che lamentarci perché non ci rivolgiamo un saluto, con la peste famiglie intere venivano sprangate in casa per evitare che si diffondesse il contagio, ma un Renzo e una Lucia e un fra Cristoforo, li si trovava sempre. Anche nel 1600. Sì perché c’era il vigliacco che non osava dire niente come Don Abbondio, esisteva da secoli anche un Azzeccagarbugli, uno di quegli avvoltoi travestiti da avvocato forte con i deboli e debole con i forti. E poi c’era un Don Rodrigo prepotente e smargiasso, e un altro ancora più potente di lui. Talmente potente che non lo si poteva nemmeno chiamare per nome tanto faceva tremare di paura la povera gente. Un innominabile, l’Innominabile!
Ma alla fine chi doveva schiattare schiattava per le proprie malefatte e la vita riprendeva il suo corso. Non ci siamo mica estinti. Un Renzo e Lucia che fanno figli ci sono e ci saranno sempre. Come ci saranno sempre le suocere…Ah la suocera terribile! ma senza Agnese come si sarebbe potuto fare?
E ci saranno sempre persone che faranno incredibili cacce al tesoro inseguendosi nei libri, e apparecchieranno la tavola e prepareranno una cena squisita per gli scrittori loro preferiti. Per ringraziarli dei regali ricevuti e pagati spesso a caro prezzo da loro stessi in prima persona, fra un elettroshock e l’altro magari, o resistendo ai morsi di decine di Don Rodrigo, solo per raccontarci una bella storia, una di quelle che poi capita che ti ci ritrovi proprio tu!
E allora, ti metti a scrivere. A scrivere per gratitudine, per ricambiare almeno un grammo di ciò che hanno fatto per te. E ringrazi, dici grazie. Prima a loro, poi ti guardi intorno e non ti fermi più: dici grazie alla tua penna, a chi si alza tutte le mattine  per andare a lavorare nella fabbrica per farle, dici grazie alla carta, all’albero che te l’ha data e agli uomini che l’hanno lavorata. Ringrazi la panchina su cui siedi, chi l’ha saldata e chi l’ha verniciata, dici grazie ai vestiti che indossi, agli occhiali che porti. A chi li ha inventati e a chi li ha fatti. Quante centinaia di persone a cui dire grazie solo per il semplice fatto di essere seduto al parco con in mano un libro, una penna e un foglio!
Ti viene voglia di fare qualcosa di buono per gli altri, di fare la tua parte, per tutti quelli a cui devo dire grazie per quel momento di pura felicità. E che è ora di svuotare la testa e mettere su di un foglio. Perché sgombrare la testa? Ma per leggere, ovvio!”

lunedì 23 aprile 2012

Arbres Magiques


Li pettino, poi li spettino. Tutte le mattine. Ogni santo giorno mi alzo, sbadiglio e  voilà. Le  chiome si piegano dolci e poi ritornano come prima. Mi danno il buongiorno così. Mi aspettano.  Io allora rispondo e loro si piegano di nuovo. A volte andiamo avanti per ore. Il giorno che ho creato gli alberi credo di essermi superato. Non ero certo stato con le mani in mano fino a quel momento, anzi. Mi ero già dato un gran da fare: il cielo, i mari, le montagne. Ma ero particolarmente ispirato il giorno che ho creato gli alberi. Ricordo di aver pranzato con un’insalata di luce, per rimettermi dopo aver finito di riempire gli abissi. Un’attività anche divertente all’inizio, ma mano a mano che il livello delle acque si alzava, il fondo scompariva e cominciavo ad annoiarmi. Mi prudeva pure dietro un orecchio e ho iniziato a grattarmi, ma ero così concentrato sulla vasca che si andava riempendo, da non accorgermi che a forza di ravanare, il cielo si era popolato di stelle. Mi sono voltato dopo un po’e sono rimasto sorpreso. Davvero sorpreso. Adoro quando faccio le cose senza pensarci. Sono quelle che mi vengono meglio. Comunque, so che non dovrei avere figli e figliastri ed infatti non ne ho, ma che dire, gli alberi per me sono un gran diletto. Danzano tutto il giorno, a volte mi diverto a farmi fare il solletico sotto la barba o la pancia, altre li suono come una grande orchestra. I baobab africani tengono il ritmo, sono dei bassi formidabili. Avete mai fatto caso agli animali della savana? Talvolta come rispondendo ad un impercettibile ordine, intere mandrie si muovono insieme correndo di qua e di là, come se avessero un’unica grande anima. Sono io che suono i baobab, ineguagliabili subwoofer della terra che scotta. La savana trema ed inizia il rave: leoni, gazzelle, zebre, giraffe, antilopi. Vamos a bailar!
E poi le querce, i cipressi, le betulle, gli olivi, i ciliegi, gli eucalipti, i castagni e i salici da ogni parte del mondo cominciano a suonare un allegro con linfa, un lento piangente o magari un fiorito trionfante.
In testa infine, ci sono loro, i pini, i miei primi violini. Così devoti, così disciplinati.
Suonano per ore, a volte per interi giorni, incessantemente, concentrati da non accorgersi del succedersi delle stagioni: caldo, freddo, neve o pioggia, non perdono un ago, un accordo, un tono di verde. D’inverno si piegano, indossano il mantello bianco, come gli esseri umani quando si mettono dei pesi alle caviglie o ai polsi, per sviluppare i muscoli. Gli uomini se li mettono anche in casa vestendoli di palle colorate e strenne d’argento. E loro si prestano, come pagliacci di corsia che portano un sorriso nei cuori sofferenti dell’umanità. Accidenti agli uomini! Che grattacapo! Li avevo lasciati per ultimi, volevo concludere in bellezza. Ci ho pensato su, mi sono concentrato, volevo fossero la ciliegina sulla torta. Li ho creati più evoluti di tutti, ma non fanno che cadere, inciampando di continuo sui propri passi. Invece di guardare su e gioire con tutti noi, si guardano i piedi con il moccio al naso. Li potrei spostare di pianeta e la maggiorparte di loro neppure se ne accorgerebbe. Ogni tanto mi viene voglia di tirare fuori gli ippopotami dall’acqua e scambiarli di posto. Almeno il naso colerebbe per un motivo valido. È che li dovevo fare senza pensarci, come le stelle. Lo sapevo! Vabbè, solo chi non fa non sbaglia mai niente. Vanno bene anche così…ci metteranno solo un po’ di più a tirare su il naso, noi nel frattempo ci divertiamo. Quando vorranno unirsi, saranno i benvenuti. Intanto, mi studio che strumenti far loro suonare, però senza pensarci troppo questa volta, se no è peggio. Ecco, ci sono! Che comincino dal campanello per entrare! Glielo ho nascosto in pancia, magari lo trovano prima di finire di riempirmi di plastica e petrolio tutto il pianeta. Che non ho ancora capito cosa ci sia di divertente nel farlo. Boh.. che gusti strani hanno sviluppato. Mannaggia a quando ho fatto camminare su due piedi quelle scimmiette stolte! Tempo, ci andava più tempo. Ho avuto fretta di farli subito grandiosi e la fretta è l’unica cosa rimasta loro appiccicata addosso. Su, alzate sta testa, che vi aiuto! Suonate il campanello che vi vengo ad aprire.

venerdì 13 aprile 2012

L'uomo delle barchette

Pensare che l’altro giorno quando sono passato di qui, non avevo mica visto la barca issata sul ponteggio per essere catramata di nuovo. Ero talmente assorto nei pensieri da non accorgermi che la barca dello zio non era al suo posto. Lo zio ci sa proprio fare mi sono detto, e continuando a camminare ho tirato fuori dalla tasca un biglietto del tram usato. Io ho una passione, una grande passione…costruisco barchette di carta. A centinaia. E poi le regalo. Tieni, questa è per te.