lunedì 14 dicembre 2015

Paura e Amore

Dentro,
fino al collo. 
Giusto.
Potessi scorgervi in tempo,
dove sarebbe il gusto?
Assi piglia tutto. Fiammeggianti.
Non io.
Cieco,
dall’altra parte del muro.
Un mendicante assetato,
un ignaro miliardario.
Pozzo colmo
di fresca acqua
che getta il secchio
sulla terra,
raccogliendo sassi.
Mi manco.
Cecchino senza mira,
per troppa ira.
Ma perennemente toccato
dall'Anelito,
che non spira.

venerdì 4 settembre 2015

Gita fuori porta...del tempo

Volete venire con me? Vi porto dove è già successa la catastrofe, dove sono crollate le strutture che hanno fatto fuori quasi tutti. Sono sopravvissuti in pochi. Che tonfo sordo. Una civiltà è crollata come un castello di carta fra il cinguettio degli uccellini e il gracchiare delle cornacchie. La polvere ha oscurato il cielo per giorni, poi si è posata e il Sole è tornato a splendere riempendo un silenzio dimenticato da millenni. All’inizio, si è creduto non fosse rimasto più nessuno, poi dai sotterranei sono usciti di nuovo gli uomini. Pochi sopravvissuti. Impauriti, increduli, ma vivi. Hanno ricominciato ad accendere il fuoco per scaldarsi. Per internet e il condizionatore ci sarà da aspettare parecchio. Le donne sembrano quelle che hanno assorbito meglio il colpo. Si danno da fare con quello che c’è e riescono a tirare su il morale ai maschi. Neanche questo armageddon ha colmato il divario, rimangono le più evolute. Gli unici che però paiono davvero a proprio agio sono i bambini. Hanno gambette agili sopra le macerie e inventano giochi che neanche la playstation. Per buona parte del tempo, si sta col naso per aria a scrutare i frutti degli alberi. Pare sia tutto più buono adesso. Una mela, un fico maturo, una pesca succulenta. Il dubbio però è che forse non è merito della frutta, quanto dell’attenzione che viene loro dedicata. Con tutto questo silenzio e con i supermercati sepolti nel mondo che non c’è più, raccoglierla e mangiarla dagli alberi viene ringraziato nel cuore che neanche andare a messa era così sentito. Certo, fa un po’ freddo la notte e bisogna stare vicini e al riparo, ma la gente ha ricominciato a parlarsi intorno al fuoco. Si raccontano storie fino a che i bambini non crollano fra le braccia delle proprie madri. Qualcuno canta a volte. L’altra settimana hanno preso un piccolo cervo. Hanno chiesto il permesso al Grande Spirito prima di ucciderlo e gli hanno offerto la sua anima dopo averla ringraziata. C’è però fra chi si è salvato, qualcuno che ha ricominciato a saccheggiare e uccidere. Il più vecchio del gruppo ha detto che lo Spirito non si è ancora placato e che forse a breve pioverà e non smetterà più. Qualcuno ha cominciato a costruire una grande nave di legno con una stiva gigantesca. E no, eh.

sabato 7 marzo 2015

23! Bucio de c...

Avrò avuto quattro anni. Mia sorella sette. Era una domenica mattina di tarda primavera, quando il sole sta scaldando i muscoli. L'ideale per volare sopra la città. Con un aereo vero e proprio, perché di voli con la fantasia avevo già il patentino. Il mio passatempo preferito consisteva nello sdraiarmi sulle piastrelle amaranto del balcone di mia nonna, per fissare il cielo e il movimento delle nuvole. Quanto silenzio faceva la mia mente, allora. Oggi, devo stancarmi come un cavallo, sfinirmi per oltrepassare la coltre dei pensieri. Ricordo il rombo di quel piccolo velivolo. A fianco del pilota sedeva il mio papà, dietro la mamma in mezzo a me e mia sorella. Passai il tempo a guardare la strumentazione di bordo, stordito dal rumore del motore. Anche perché non arrivavo al finestrino. Mi avevano legato come una salsiccia, non vedevo quasi nulla. Ero stato più affascinato dal maneggiare del pilota e dalla bocca di mio padre che vedevo muoversi, senza capire cosa dicesse. Sembrava un pesce. D’altronde, anche quando lo sentivo, ero molto più sensibile ad un incomprensibile tono duro che alle parole. Comunque, fare una cosa apparentemente eccezionale come volare, era stato meno affascinante dell’immaginarlo. Sarà lì che ho cominciato a fuggire nell’immaginazione? Credo di no, ma quando mi sdraiavo a fantasticare dimenticandomi di me stesso, rotolavo in piena estasi fra soffici nuvole che prendevano vita, diventavano personaggi di storie mirabolanti, cose, animali. E se mi voltavo, sotto di me c’era il vuoto. Mia nonna abitava al secondo piano. Cosa darei oggi per farle una sorpresa, suonare il citofono, farmi aprire. Lei non c’è più da ventitré anni. A Roma, quando si esclama: “23!”, qualcuno ti risponde con un sorriso “..bucio de culo!” Il ventitré porta bene. E quanto me ne ha portato. Nessuno mi ha voluto bene come lei. Nessuno. Si sarebbe fatta ammazzare cantando per me, senza pensarci. L’unico esempio di amore incondizionato che abbia conosciuto, ma che fortuna avere qualcosa da cui attingere. Di quella gita in aereo, mi rimane un acufene e l' eccitazione di mia madre e mio padre. Un piccolo momento di famiglia felice, a cui non ho mai partecipato. Io e mia sorella dietro, avevamo già perso la spensieratezza, eravamo stati trasformati nei loro genitori, come capita a milioni di cuccioli messi al mondo da bambini che a dispetto delle apparenze, non sono mai diventati adulti. Poverini. Figli come oggetti di proprietà di cui disporre a piacimento, da succhiare loro l'amore fino all'ultima goccia. Certi genitori andrebbero ammazzati. Io li ho perdonati. Forse. No.

Se potessi tornare indietro, mi accosterei a me stesso nella culla. Vorrei sedermi vicino ed accudirmi in silenzio per tutto il tempo del mio dormire. Vegliarmi. Vorrei stare lì, guardarmi, struggermi del più dolce amore mai provato, accarezzarmi la testa. Sussurrarmi la persona meravigliosa che sarei diventata. Vorrei essere lì per proteggermi, per riversare su di me tutto l’amore che meritavo, perché figlio, perché creatura. E se mi fossi svegliato e avessi cominciato a piangere, avrei voluto essere lì per prendermi in braccio, facendomi sentire al sicuro. Mi sarei calmato cantandomi una nenia, un dolce miele per le piccole orecchie di quel dono di Dio che sono stato. Io, madre e padre di me stesso. Felice di avermi avuto. 

lunedì 2 marzo 2015

Allacciati le scarpe!

“Se il mondo va tutto al contrario di come dovrebbe, cosa dovrei fare? Andare al contrario pure io?”
Così pensava, mentre si allacciava le scarpe. Cosa che faceva del resto più volte al giorno perché gli si slacciavano continuamente. Era un campione di scarpe slacciate. A volte, sfinito, le lasciava com’erano. Eppure le stringeva forte, o almeno così gli pareva. In realtà, si abbassava in automatico, compiva il fiocco ma sul più bello un pensiero lo portava via e nel rimettersi in piedi, le mani lasciavano la presa anzitempo e il nodo durava poco. Così era costretto a doversi fermare in continuazione, ed i pensieri insieme a lui. La scarpa slacciata lo richiamava alla realtà costringendolo a cambiare posizione ed inginocchiarsi in un involontario atto di umiltà. Sentiva anche una voce sussurrare: “Allacciati per bene le scarpe!” Gli sembrava sua madre, ma poi si voltava e non la vedeva.
Sua moglie lo prendeva in giro. Era incredibile. Quando andavano a passeggio insieme soprattutto per le vie del centro, ad un certo punto lo vedeva sparire nel bel mezzo di un dialogo, oppure distratta da persone e cose tutte intorno, si accorgeva di essere rimasta sola e voltandosi lo vedeva accovacciato per terra, imprecare contro i suoi lacci. Magrolino com'era di costituzione, aveva due zampette da gallina che sembrava una gru e pativa a tenerle al chiuso dalla mattina alla sera era. Fosse stato per lui le avrebbe tenute libere, peccato che l’uomo si fosse dato da fare nel tempo a posare asfalto dappertutto. Un isolante a terra, l’altro coi lacci ed ecco che la frittata era fatta. Tutti staccati da terra. Ma se il mondo andava tutto al contrario, cosa doveva fare, andare al contrario insieme a tutti gli altri?
E' chiaro che fossero tutti mezzi matti. Staccati così da terra come si poteva essere altrimenti? Era come voler abbracciare qualcuno da dentro una bara.
Il bello è che alcuni l’accusavano di non avere i piedi per terra. Sfido che non li avesse, ma almeno conosceva il motivo, sentiva l'assenza di quel contatto, consapevole di essere infilato in un profilattico fino alle caviglie. Forse era fra i meno matti di tutti, ma tragicamente in minoranza. Così se le infilava pure lui, ma una parte recalcitrava e infatti le sue scarpe si slacciavano in continuazione.  
Qualcuno avrebbe pur dovuto farlo notare però, prima o poi, che erano tutti staccati da terra.
“Scusi?..Scusi lei, guardi che ha i piedi staccati da terra. Faccia qualcosa perché ho sentito dire che si diventa matti!”
“Ma vada al diavolo!”
Ecco, lo sapevo.
“No, guardi che io proprio da lui sto tornando. Dal diavolo intendo. Non ci crederà mai, ma all’inferno, per quanto sia stato dipinto come un luogo terribile, non esistono né asfalto, né scarpe. Vedesse che vitalità laggiù che hanno. E poi…”
“Vieni andiamo via Giovanna, questo è matto.”
Strategia di comunicazione. Ecco quello che gli mancava, non ne aveva mai avuta. Troppo diretto. Le persone non sono predisposte a sentirsi dire la verità.
“Ehi ma dove va? Aspetti! Non ho finito. La cravatta! Si tolga quella cravatta per dio, è importante. Non creda a tutte quelle cose che le hanno raccontato, che fa chic, elegante, una persona distinta e perbene. E’ un guinzaglio, non uno status symbol. Un dannato cappio, mi capisce? Ci hanno preso per i piedi e per il collo. Come polli! Ma non lo vede anche lei?”

Niente è andato, non mi sente neanche più, s’è mischiato in mezzo alla folla.