domenica 6 gennaio 2013

Viaggio sul divano


Mi sono posato sul divano per un piccolo tempo, come i panni asciutti quando vengono ritirati dallo stendino e ci transitano prima di finire nei cassetti. Volevo riposare, pensare, perdermi per un attimo senza dovermi preoccupare anche del mucchietto di carne e ossa che mi porto a spasso e la sua ansia. Io e il divano abbiamo fatto un viaggio. C’era anche quello strofinaccio sul bracciolo e la coperta rossa in pile a proteggermi i piedi allungati sulla sedia. Fra le mani un libro. Bruciavo di collera e distruzione. Mi odiavo. Ero sprofondato nel girone infernale del “non”. Non sono capace di amare, non sono un figlio meritevole di amore, non saprò mai trattare con un figlio, non voglio un figlio, non sono un borghese, non è la persona giusta quella accanto a me, non c’è una persona giusta, non sono in grado di combinare nulla di buono, non sono affidabile, non sono buono, non capace, non ho talenti, non amo le feste, non amo la gente, non amo me stesso, non amo nessuno. Non ha senso quello che ho cercato di fare finora, non ho speranza, non merito nulla, non valgo nulla.
Niente male. D’un tratto però, il sedicente libro mi centra la brocca con un fulmine e per farmi scoprire che in verità nessuno mi ha fatto niente. Possibile? Uno passa il tempo a rovinarsi l’esistenza, a soffrire in santa pace e a sentirsi vittima incompresa e praticamente anche il peggiore degli stronzi, in realtà non fa altro che mostrarmi, darmi conferma, di quali sono le cose che credo vere di me stesso. Di non avere o essere questo o quest’altro per il semplice motivo che in fondo sono convinto di non meritare di avere o di essere questo o quest’altro, anche se mi racconto il contrario. Ma per favore, questo è pieno delirio New Age.
Accuso il colpo. Questa tesi mi dà sui nervi e mi difendo con i denti: tutte cazzate. Sti libri sono tutti uguali. Tanto cosa avevano detto i Maya? La fine del mondo è già arrivata da qualche giorno, e cosa è successo? Un bel niente, ecco cosa! Magari fosse successo, in realtà il mondo è il solito schifo di sempre, pieno di gente cattiva e se ne va in malora. Che ci vada in malora, allora. Poi c’è la crisi, tanta crisi. Crisi. Mi incanto così, come un disco rotto, con gli angoli della bocca amareggiati e lo sguardo perso nel vuoto.
Quello che speravo, approfittando dell’attimo si accende l’altra metà del cervello, mi allaccio la cintura e finalmente il divano decolla. La partenza è turbolenta.
Danza la vita fra le mie dita, buffone, ciarlatano, venditore di sogni. Svelatore di illusioni, sollevatore di peso, illusioni di un vilipeso. Amico superstite di un angelo umano a spasso per il pianeta, riempie le orecchie di giovanotti ballanti. Quel che mi occorre è lo spazio nel tempo, due coordinate da mettere su un grafico cartesiano, saltarci su e remare con la x e con la y salendo in mezzo alle stelle, facendo un giro intorno alla luna per tirarle un sassolino e vedere se si increspano i contorni. Voglio sapere di rivolgermi alla Luna per davvero, non al suo riflesso argenteo in qualche laghetto. Su a pescare braccia di burattini che si muovono. Un piccolo principe che gioca le storie degli uomini con la sua amata rosa al riparo vicino a lui. E la Maddalena in altalena, su e giù per l’universo, fino a sciogliersi nel palato sotto forma di biscotto.
E’ fatta, sono in orbita. 
Chiudo gli occhi e mi ritrovo in cortile dalla nonna a tirarmi su dopo essere scivolato con la ruota della bicicletta su quella ghiaia maledetta. Mi vedo andare in bici dal balcone del secondo piano. In piedi, arrivo appena alla ringhiera. Sotto ci sono sempre io in bici, su il cielo invece è di azzurro e panna montata di nuvole. Mi sdraio sulle piastrelle levigate rosso mattone del balcone e guardo al contrario. Con la testa e il naso per aria mi infilo con la nuca fino al bordo dove finisce il balcone, mentre con le manine mi aggrappo con tutte le forze alla ringhiera per tenermi. Il gioco è durare più a lungo possibile senza farmi vincere dalla paura del vuoto che sento sotto la mia testa. Se cado mi ammazzo. Se guardo sotto mi paralizzo e fuggo atterrito verso la finestra che mi riporta in cucina. Se guardo in alto invece, perdo il senso dell’orientamento. Vertigini al contrario. Eppure quanto sono lenti e magnifici quegli attimi dilatati. Senza avvertire lo spazio, il tempo si espandeva fino a diventare immobile. Quanto duravano quei giochi a testa all’insù e le mani strette per non perdere del tutto il contatto? Sembrava non passare mai. Da piccolo, ero in grado di fermarlo, il tempo. Oh, oh.
Ho guardato di sotto, il viaggio è finito, sono di nuovo in salotto.
Quanto è durato? Non lo so, ma per un momento, ci sono riuscito. Mi sono dimenticato di me sul divano, aggrappato al libro come alla ringhiera, per andare in un mondo di figure geometriche a giocare con le nuvole di panna montata. Ho preso un cono di vecchi e legittimi capricci inascoltati da guarire e sono tornato.