domenica 12 gennaio 2014

Minuetto

Quella casa non era in vendita. Nonostante da fuori paresse rifinita in tutti i particolari, al suo interno mancava il pavimento. C’era da chiedersi come fosse stato possibile costruirla. Le pareti intonacate di un bianco candito, la luce che entrava dalle finestre che ne risaltava ancora di più il candore, eppure varcata la soglia si precipitava nel vuoto. La porta di ingresso infatti, una volta aperta dava sul nulla. Non una colata di cemento, una fondamenta, una piastrella. Niente. Sembrava fosse stata costruita dall’alto, invece di aver scavato e gettato la base per le colonne in cemento armato. Al suo interno, si poteva solo saltare da una parete all’altra ed i due muratori, un uomo ed una donna balzavano e si aggrappavano alle finestre incrociandosi in aria. Sembrava di assistere ad una danza fra uccelli. Il bianco delle pareti illuminate dal sole faceva sembrare la casa una nuvola spigolosa, compreso il tetto, anch’esso bianco. I due non proferivano parola, né si guardavano; saltavano insieme come rispondendo ad un unico impulso ritmico e perpetuo, mentre schizzi di lacrime nere colavano e si solidificavano sui loro volti di pierrot. Era la casa di un uomo addormentato. Ogni notte la rivedeva in sogno dalla prospettiva del nero nulla del pavimento. Allungava le mani, mentre quei due in alto volteggiavano e una voce cantava “Minuetto” di Mia Martini. Piangeva, straziato dalla bellezza di quei due corpi e dei loro volti malinconici che danzavano alla luce del sole. Era casa sua, anche se assomigliava di più ad un albero con due uccelli avvolto nelle nuvole. Poi si svegliava e scendeva dal letto fissando con rancore sordo il pavimento. La Terra lo pretendeva e lui malediceva lei, il pavimento ed i suoi goffi piedi doloranti.