Quella casa non era in
vendita. Nonostante da fuori paresse rifinita in tutti i particolari, al suo
interno mancava il pavimento. C’era da chiedersi come fosse stato possibile
costruirla. Le pareti intonacate di un bianco candito, la luce che entrava
dalle finestre che ne risaltava ancora di più il candore, eppure varcata la
soglia si precipitava nel vuoto. La porta di ingresso infatti, una volta aperta
dava sul nulla. Non una colata di cemento, una fondamenta, una piastrella. Niente.
Sembrava fosse stata costruita dall’alto, invece di aver scavato e gettato la
base per le colonne in cemento armato. Al suo interno, si poteva solo saltare da una parete all’altra
ed i due muratori, un uomo ed una donna balzavano e si aggrappavano alle
finestre incrociandosi in aria. Sembrava di assistere ad una danza fra uccelli.
Il bianco delle pareti illuminate dal sole faceva sembrare la casa una nuvola
spigolosa, compreso il tetto, anch’esso bianco. I due non
proferivano parola, né si guardavano; saltavano insieme come rispondendo ad un
unico impulso ritmico e perpetuo, mentre schizzi di lacrime nere colavano e si
solidificavano sui loro volti di pierrot. Era la casa di un uomo addormentato. Ogni
notte la rivedeva in sogno dalla prospettiva del nero nulla del pavimento. Allungava
le mani, mentre quei due in alto volteggiavano e una voce cantava “Minuetto” di Mia
Martini. Piangeva, straziato dalla bellezza di quei due corpi e dei loro volti
malinconici che danzavano alla luce del sole. Era casa sua, anche se
assomigliava di più ad un albero con due uccelli avvolto nelle nuvole. Poi si
svegliava e scendeva dal letto fissando con rancore sordo il pavimento. La Terra
lo pretendeva e lui malediceva lei, il pavimento ed i suoi goffi piedi
doloranti.