Sono giunto a 1150km
percorsi a piedi nella mia vita in pellegrinaggio. Cammino di Santiago, più Cammino
di San Francesco d’Assisi. Ci ho preso gusto. Quest’ultimo tracciato, a dire il
vero, se l’è inventato una signora unendo i santuari principali e storicamente
documentati toccati da Francesco. Quello di La Verna, in Toscana, dove ricevette
le stigmate, le prime dai tempi di Gesù; Fonte Colombo dove scrisse la Regola
dopo 40 giorni di digiuno; il santuario di Poggio Bustone in cui Francesco vi
si recò in principio con i primi sei Frati ottenendo la remissione di tutti i
suoi peccati, ed ancora il Sacro Speco, dove tuttora vive un prospero castagno
piantato da lui. A Gubbio invece vi si recò appena lasciata la casa paterna, ricevendo ospitalità da un ex-amico di bisbocce e
cavaliere. Spoleto, il santuario di Greccio con i resti del primo presepe della
storia da lui voluto una notte di Natale del 1200 e qualche cosa. E
naturalmente Assisi, dove ogni cosa parla di lui, senza profanazione.
A distanza di 800 anni,
una regione intera è ancora permeata dal passaggio di quell'essere umano. L’ospitalità
e la semplicità genuina degli umbri sono giunte inaspettati. Nonostante
il passaggio massiccio di turisti, soprattutto per quanto riguarda Gubbio ed Assisi,
si respira un’atmosfera fuori dal tempo, dove si toccano con mano fede e
spiritualità nelle genti come nelle cattedrali, mai esagerate negli orpelli, eppure così
straripanti di bellezza, da imbarazzarsi. Lo dico io, che li scoperchierei i
tetti delle chiese, per farci entrare la luce del Sole.
Poiché la messa per me
si fa nel bosco, al ritmo dei bastoni di nocciolo sui sentieri, in silenzio. Camminare
è una dimensione che ho scoperto essere sacra. Rallentare al tempo nostro,
quello umano. A piedi. A piedi ti guardi intorno, con attenzione per il
dettaglio. A piedi vibri il tuo respiro, avverti il corpo spostarsi nello
spazio; mediti, sudi, copri distanze nel tempo delle tue possibilità. Gioisci
di un masso comodo all’ombra di un albero, di una fontana di paese dall’acqua
gelida, di un campo di girasoli che ti saluta come una legione di soldati. E tu
come Marco Aurelio, alzi il bastone in segno di saluto e vittoria. A piedi, la
bandana che dona refrigerio si asciuga sulla testa, la pelle scurisce, le
borracce esauriscono, le vesciche bruciano. Ma quando si fa sera e raggiungi la
meta, oltre la grande fatica c’è la gioia più pura, e se solo potesse, il tuo spiritello ti
mollerebbe un attimo per brillare in cielo come un fuoco d’artificio. L’ho
riscontrato a Santiago in centinaia di persone. Si è felici, punto e basta. Camminare
per 20 o 30 km al giorno, produce gioia e più i giorni si sommano, più il
processo infila un binario di trascendenza, che tu ne sia consapevole o meno. Nei
primi il fisico deve abituarsi, poi marcia con regolarità, si alza senza
traumi alle 5 del mattino e cammina per 8-9 ore. Ha dell’incredibile. Non c’entra
la forma fisica. Ho visto atleti tornare a casa il terzo giorno per aver
abusato di loro stessi e signori di 70 anni arrivare al traguardo. Pellegrinare è
una prova mentale. Credo che la prossima volta, sarà Gerusalemme.