mercoledì 25 settembre 2013

La tartaruga, l’olmo e la lumaca

“Senti, mi puoi dare un passaggio? Te ne prego. Vorrei  tanto scoprire cosa si prova ad andare forte.” La lumaca era seria, ma la tartaruga non pareva gradire: “Che fai sfotti?”
“No, dico sul serio. Ti ho spiata spesso e provo una grande invidia per le tue zampe possenti e la tua velocità. Mi porteresti sopra di te? Te ne prego. Non so cosa darei per sentire il vento e sbavacchiare per non seccare.” Così’ dicendo, piegò le antennine all’indietro in segno di supplica.
La tartaruga si sentì per un attimo spiazzata. Dopo un lungo silenzio che alla lumaca parve interminabile, disse:” In novant’anni ne ho viste e sentite di tutti i colori, ma questa non mi era ancora capitata”,  e scoppiò in una fragorosa risata.
“Allori mi porti? Dai, dai ti prego!”
“Erano 27 anni che non mi capitava di ridere. Va bene. Salì su allora, e tieniti forte mi raccomando.”
La lumachina non stette più nel guscio dalla felicità, anzi avrebbe quasi voluto lasciarlo lì dov’era per salire più in fretta, ma poi pensò che magari sarebbe morta di freddo andando così veloce, o abbrustolita visto il sole caldo.
L’operazione di risalita richiese circa tre ore, la tartaruga pareva una montagna da scalare, tanto era grande. La piccola le si arrampicò su per una zampa posteriore: si saliva bene, la pelle rugosa  permetteva una buona aderenza e la testuggine da parte sua aveva anche trovato un modo per ingannare l’attesa. Infatti, era ora di pranzo e nel posto in cui si trovava, un succosissima insalatina ricopriva il terreno e ne approfittò. Poco dopo finì anche per chiudere gli occhi e si assopì.
 “Sono qui! sono qui! Ce l’ho fatta, sono salita!” esclamò all’improvviso la lumachina dopo tanta fatica. “Che magnifica vista si gode da quassù.” Era riuscita ad arrivare fino al guscio, proprio dietro il collo della sua nuova amica che svegliata di soprassalto, ancora un po’ ci rimase per lo spavento.
 “Accidenti, ce ne hai messo di tempo, mi ero completamente dimenticata di te.”
“E’ bellissimo da quassù, sono sfinita e come è rovente il tuo guscio sotto il sole. Ti prego parti, qui si schiatta di caldo, fammi sentire il vento sulle antenne.”
“Il vento sulle antenne?” e rise di nuovo. Non aveva mai pensato che qualcuno un giorno avrebbe apprezzato la sua velocità. Gli altri animali, l’avevano sempre presa in giro, a volte anche in modo poco carino. Da  giovane ne aveva sofferto, ma crescendo ci aveva fatto l’abitudine ed anzi, quando qualche moccioso di leprotto le veniva a fare il verso, sorrideva e ammirava ripetersi ancora una volta il miracolo della vita, sfottò compresi.
“Bene, allora tieniti forte, si parte. Ti porterò a conoscere il mio migliore amico. E’ un tipo silenzioso, ma vedrai, ti piacerà.” Così dicendo si mosse sicura in direzione di un grande olmo.
Erano coetanei lei e l’albero. Il bisnonno dell’uomo che ora si occupava di lei, aveva piantato quell’albero lo stesso giorno in cui si presentò al podere con una piccola testuggine sul palmo della mano. Era successo tanto tempo fa.
Poco per volta i due erano diventati amici, non avevano mai potuto usare la parola, ma comunicavano. Avevano visto succedersi gli uomini, le piante crescere, germogliare e appassire e gli animali riprodursi e morire. Loro però erano rimasti, e col tempo l’amicizia che li univa era diventata fonte di grande ristoro per entrambi. Non era facile avere  ancora qualcuno, un affetto. No, non lo era, ma in quella terra un olmo e una tartaruga si facevano compagnia.
Appena  si incamminò, l’ospite ebbe difficoltà a rimanere salda sul guscio e dovette aggrapparsi a ventosa per non venire sbalzata. Il vento poi le sferzò le antenne e, in un istante, provò la libertà.
“Siiiiì…….” Era al settimo cielo! Stava cavalcando la terra in sella alla sua custode.
L’olmo si scorgeva in lontananza, era l’albero più alto e rigoglioso e si era accorto dell’imminente visita. I passi dell’ amica scuotevano la terra ad un ritmo familiare, impossibile sbagliarsi, era proprio lei.
Quando furono ai suoi piedi la tartaruga arrestò la marcia e disse:” eccoci arrivate, questo è il mio amico olmo, sai lui è molto vecchio come me.”
“Ciao olmo, è un onore per me conoscerti, ma  sei  altissimo, non vedo più il sole” , disse divertita e per nulla dispiaciuta per un po’ di ombra.
Le possenti zampe della tartaruga distavano a non più di un metro dalle radici  e l’olmo accortosi della piccola ospite sulla schiena dell’amica, chinò una giovane fronda in segno di saluto, senza dimenticare di lasciare una foglia per la piccola, che affamata, gradì.
“Amica, che sorpresa è mai questa? Cosa ci fai con una lumaca sulla schiena?” chiese. Nessuno aveva sentito niente, ma i due quando erano molto vicini potevano sentirsi. Tutti gli alberi erano in grado di parlare in realtà, ma non amavano farlo sapere. Lei lo aveva scoperto per caso un giorno in cui si trovava sotto di lui e lo sentì lamentarsi per il freddo. Lui d’altronde l’aveva scambiata per un sasso e si era lasciato andare convinto che nessuno lo sentisse.
“L’ho portata con me, ho pensato che un po’ di gioventù facesse piacere anche a te. Pensa che mi ha chiesto di farle provare l’emozione della velocità.” e rise di nuovo.
“Perché ridi?” Chiese la lumachina intenta a rifocillarsi, che non poteva sentire la conversazione.
“Niente piccola, mangia tranquilla.”
“Infatti, perché ridi?” chiese anche l’olmo.
“Ma come perché rido? Io sono una tartaruga! Sono l’animale più preso in giro del mondo per la mia lentezza.”
“Beh anche la lumaca non scherza. E poi scusa, lo vieni dire a me che non mi sono mai mosso di qui?”
“Va bene, ma questo che cosa c’entra? Tu sei un albero.”
“Sarò anche un albero, ma la gioia di due passi l’avrei tanto voluta provare.”
“Beh, anch’io avrei tanto voluto godere della vista che ti è concessa. In tanti anni non ho mai potuto vedere che a un palmo dal mio naso.”

Per quel giorno i due non dissero altro, rimasero in silenzio, mentre la lumaca verso sera raggiunse nuovamente il suolo, colma di felicità: quel giorno aveva viaggiato ad una grande velocità ed aveva visto il mondo da una altezza mai raggiunta prima nella vita. Tornò esausta al suo fazzoletto di terra dopo due settimane di viaggio, e poco dopo morì in pace, con le antenne rivolte a nord, sognando di volare.