Roma, quartiere
Testaccio. Alle mie spalle il teatro Vittoria. Qui seduto su di una panchina,
consumo la mia cena alle ore 18. Presto, molto presto, ma oggi è un giorno particolare,
stasera sono in scena, qui a due passi, al Teatro Antigone. La cena prevede
quattro polpette al sugo, una leccornia che mi riporta indietro nel tempo.
Francesca, me le prepara quando vuole coccolarmi, sa che le adoro. Le faceva
mia nonna paterna, quella napoletana, la domenica a pranzo. L’odore si è impresso
fin da bambino e non l’ho più dimenticato. Con la sua morte, insieme a lei se
n’è andata una sapienza da donna di altri tempi e ahinoi anche le sue polpette.
O almeno come le preparava lei, con la mollica di pane nell’impasto. All’epoca
dell’arrivo a Torino della famiglia di mio padre alla fine degli anni sessanta,
l’aggiunta della mollica era un modo per allungare il più possibile la carne
che ci si poteva permettere di comprare. La famiglia numerosa, sei figli ed una
moglie casalinga. Quelli in età da lavoro tutti diligentemente assunti in
qualche fabbrica od officina. Un classico della Torino e Milano di quegli anni.
Così la domenica, il mastodontico lavoro per mia nonna di dover pensare al
pranzo, la cena e alle pietanziere del lunedì per i lavoratori. Mio padre mi ha
raccontato che il massimo del piacere consisteva nel ritrovarsi il lunedì con i
maccheroni al ragù nella vaschetta d’acciaio grande e due polpette con un po’
di patate fritte mischiate con il sugo in quella più piccola, per il secondo.
Come dargli torto. Ricordo bene nella mia piccola parentesi da operaio, a cui
mi sono ribellato, il gusto della
sorpresa nel rito di aprire il contenitore del pranzo. Spesso, unica fonte di
conforto per l’intero arco della giornata. Ebbene, quelle polpette lì della
nonna, quelle non ci sono più. Trent’anni di matrimonio infatti, non sono
bastati per convincere mia madre ad usare la mollica nell’impasto. Lei le fa di
sola carne, dice che sono migliori. Non è vero, non è la stessa cosa, ma non
c’è stato verso. Così, niente più mollica e magica consistenza. Ma non è per
via delle polpette che ho provato un sussulto di speranza. Speranza vera, da
farmi dimenticare le polpette (anche se devo dire che Francesca la mollica la
mette, ce l’ha già nel dna, per mia
fortuna). A venti metri da dove sono seduto, diversi bambini dai sei ai dieci anni
stanno giocando a pallone. Il loro vociare da pulcini è incessante. Ad un
tratto, in un momento in cui lo sguardo è rivolto verso di loro, uno dei più
piccoli viene colpito in pieno volto da una pallonata. Nonostante abbia fatto
in tempo a ripararsi un poco con un braccio, viene abbattuto come un birillo,
in modo piuttosto comico. Succede però l’inatteso. Invece di scattare sfottò o
sentire risate divertite, tutti si fermano, i più grandi in testa, gli si fanno intorno per rimetterlo in piedi ed assicurarsi delle sue
condizioni. Qualcuno scruta il viso, altri lo abbracciano, pacche sulle spalle.
Altri ancora si prodigano per rincuorarlo e farlo sorridere. Senza nessuna fretta, riprende
la partita. Nessun cinismo, aiuto dai più grandi, affetto, amore. Sono rimasto lì
con la forchetta in mano, come un pezzo di baccalà. Ho fatto uno sforzo per
riportare la memoria alle mie partite di pallone in cortile, e mi è venuto in
mente di una volta che ricevetti io una violenta pallonata in pancia da farmi
piangere e trattenni le lacrime per non essere ulteriormente deriso, o un’altra
in cui subii le botte e le angherie dei più grandi, mentre con il mio migliore
amico venivamo gonfiati come zampogne. La famosa legge della strada.
Un’ora prima intanto alla
fermata del bus, due adulti di più di quarant’anni si erano appena azzuffati con le
mani al collo perché uno aveva ostruito la discesa all’altro. Da parte dei
passeggeri tanta eccitazione tutto intorno, fra chi voleva sapere chi avrebbe
voluto la meglio, conducente compreso che si godeva la scena.
Alla fine, vedendo
questi bambini, ho sorriso e mentre ritiravo le mie cose ho pensato che c’è speranza,
l’essere umano ha ancora speranza. Questi, mi sono detto, sono diversi, questi
rimettono le cose a posto. I bambini della nuova specie stanno arrivando a
migliaia.