sabato 29 settembre 2012

Deliri

A questo punto dovrei sentirmi in colpa. Perché? Sono solo una tazza. Si, hai capito bene. Sono solo una tazza. Hai presente quei contenitori concavi dove ti ci bevi il tè o quel diavolo che ti pare? A volte ti ci affezioni e negli anni mi porti con te ovunque vada. E guai se vado in frantumi. Perché mai dovrei sentirmi in colpa, allora? Perché se non mi ci metti niente dentro, non servo. Giaccio riversa in un mobile, o sospesa in uno scolapiatti. Ho bisogno di liquido caldo per prendere vita. Altrimenti non esisto. Che colpa ne ho in fin dei conti, è vero. Eppure mi sento in colpa lo stesso, perché non sono sempre fra le mani di qualcuno a farmi leccare i bordi.
Chi ha parlato? Chi è che parla?

Sono solo in casa. Sento le voci. Lo sapevo. Prima o poi sarebbe successo. A tentare di corteggiare il Genio, rischi di beccarti sua sorella Follia, che ti credi. Chiamare la neuro. Chiamate un’ambulanza. Camicia di forza per tazze. Taglia? Non lo so. Però una manica sola. Quale? Non facciamo domande idiote. Quella sinistra perdio, sono mancino. Non si vede che mentre scrivo sbavo l’inchiostro? No? Non si vede? Peccato. Io ho la mano sinistra tutta sporca di inchiostro. Nero. Scrivo solo in nero sul pc. Consumo una cartuccia al mese di word. A volte mi piace riempire la bocca di inchiostro e sputarlo sul foglio. Poi aspetto che si asciughi. Dopo, comincia la febbre. Prendo il bianco e comincio, comincio a pulire. Prima i margini, poi i bordi. Poi metto il pc in controluce e aspetto. Aspetto che si intraveda l’immagine di tutte le lettere. A quel punto devo salvarlo, devo salvare il testo. Corro a rotta di collo fra una lettera e l’altra per liberarle. Lì c’è una q, lì una u là una i e via così.  Bianco di lì, bianco di là, è una lotta contro il tempo per liberar parole. Presto, prima che l’immagine svanisca. Non so neanche cosa c’è scritto, non ho tempo di leggere: lo faccio mentre lo faccio, quello che faccio. Se mi fermo lo perdo. Non è mica farina del mio sacco questa, no, no. Me l’ha insegnato Michelangelo. Lui prendeva i pezzi di marmo e poi liberava il Mosè che c’era dentro, tanto per dirne una.
L’avete mai visto il Mosè di Michelangelo? Ha due cornini sulla testa che gli donano una meraviglia. Ci ha fracassato il Vitello d’Oro quando è sceso con le tavole, aveva le mani occupate d’altro canto. Che bel tipetto che era. Ecco, è così che si fa arte. Non c’è mica niente da trovare. C’è solo da togliere, liberare, ciò che ingombra. Via, via.

Si però io mi sento in colpa lo stesso. Leccami! Leccami almeno un po’.

Va bene, adesso metto a scaldare sul fuoco un po’ d’acqua e ti riempio di malva, ok? E ti do tanti bacini. No, no, niente microonde, niente microonde, non sono mica un assassino! Io l’acqua la rispetto. Non l’ammazzo mica, non bevo cadaveri di gocce. La scaldo col fuoco. Perché col fuoco si scalda l’acqua, col fuoco non con le onde.

Ma l’orizzonte? Hai guardato l’orizzonte? Ma cosa vuoi che ci sia all’orizzonte?

domenica 23 settembre 2012

Amarcord Vidal


Un cavallo bianco, libero, al galoppo, corre sul bagnasciuga come la pubblicità di un bagnoschiuma di tanti anni fa, sollevando schizzi d'acqua che sembravano raggiungerti a tavola davanti la tv.  Un tempo lontano, in cui ci si lavava ancora con il sapone ed io bambino, per i capelli usavo lo shampoo che non bruciava gli occhi, ma non era vero perché provavo a tenerli aperti e bruciavano eccome. E prima ancora, più indietro nel tempo, chi si occupava di me? Le dita di mia madre alla ricerca di pepite preziose nelle orecchie di un monello. Orecchie che diventavano rosso fuoco. Inutile protestare, era un'operazione sadica e più mi ribellavo più ci dava dentro. Le piastrelle del bagno color giallo ocra, l’asse del water nero, in plastica, i rubinetti dell’acqua calda e dell’acqua fredda divisi, segnati di rosso e di blu, che ricordo ancora lo stupore quando adolescente ho visto il primo miscelatore. Sembrava venuto dal futuro, un’invenzione  per persone ricche. Oggi che ce l’hanno tutti e che a pensarci bene, la mia di famiglia ricca non lo era. A me però sembrava un oggetto così raffinato. Basta scottarsi, basta gelarsi, dover aspettare di mischiare le acque nel lavabo. Il tiepido in diretta.
È stato un bene, è stato un male? “Ti vomiterò dalla mia bocca, poiché non sei né freddo, né caldo.” Mi sembra che una sacra scrittura dica qualcosa del genere. Come a lasciare intendere che non ci sia gradimento per i tiepidi. Ci siamo un pò intiepiditi? Beh, sì, al massimo si può provare a gelarsi o scottarsi di tanto in tanto. Non di più. Troppa inerzia da vincere. Si è lenti dalle parti della pancia, l’ozio l’ha nascosta sotto strati di delizie che sono una croce. Non si sale. Serve altro che una dieta, ho sentito addirittura un amico mio dire di togliere ogni tornaconto dal proprio amare. Sì, proprio quello lì, il famoso amore incondizionato.  L’unica merce rimasta senza codice con le sbarre. Accettano solo più questa moneta da quelle parti. Ne ho sentito parlare, chissà che forza che deve avere. Quindi tutto il resto dei prodotti sarebbero marchiati dal cornuto. Ma allora esiste? Io conoscevo il cornuto che è in me, che è in noi. Noi che una volta avevamo anche la coda, mentre le corna, quelle, le abbiamo da sempre. Come certe zaffate di zolfo da sotto le lenzuola degne di un caprone.
Bassi istinti, alti inganni.
Se fosse vero però, cosa ci viene chiesto: togliere ogni tornaconto dal proprio amare. Le cose non stanno forse che siamo da sempre lì, a metà strada, attratti da un azzurro inarrivabile e un fango che ci reclama? A metà strada, come un bagno tiepido, né caldo, né freddo. Da augurarsi uno shock, un imprevisto. Vidal. Ecco come si chiamava la pubblicità di quel cavallo bianco che correva.  Un cavallo chiamato desiderio. 

domenica 9 settembre 2012

Strani biscotti

Sembra che abbia cambiato colore.
Cosa?
La coda.
Ti credo, a forza di morderla.
E'diventata nera.
Ma ci vedi? E' bianca e pure tutta bagnata.
Sono io che la bagno, con la saliva.
Guarda che si è appena attivato l’impianto di irrigazione del parco e ti ha lavato completamente. Sei tutto bagnato, mica solo la coda.
Hai ragione. Non me ne sono neanche accorto.
Per forza, sei così impegnato a morderla che se ti mettessero al forno in una teglia con delle patate intorno, crederesti di essere al buio in una notte accaldata.
Al forno? Senti amico, i cani non si mangiano. Al massimo si è mangiato qualche gatto ho sentito dire, in tempo di guerra.
Se è per questo allora, i cani si mordono la coda, non i gatti.
Lo so! Sono un cane.
No, che non sei un cane, sei un gatto. Non ti sei accorto neanche di questo?
Ma che dici?
Ascoltami: hai mai assaggiato i biscotti preparati con la cacca di unicorno?
No. Ma che schifo!
Dovresti provarli. Sono squisiti e pare che facciano vedere le stelle cadenti.
Non ho tempo per queste cose. Devo fare la guardia.
La guardia! Ma a cosa?
Alla coda. Mi fa impazzire ed ho paura che scappi. Così la mordo.
E funziona?
Sì, ma mi fa sempre male. È per questo che se ne vuole andare, dice che soffre.
Scusa, ma hai mai provato a lasciarla muovere?
Ma che scherzi?
Guarda che non scappa. Dovrebbe anche smettere di farti male.
Già, poi che cosa faccio tutto il tempo? Mi metto a guardare le stelle cadenti?
Ci vogliono i biscotti per quello.
Ah, è vero. Senti,...non è che ne hai mica uno o sai dove li posso trovare?