sabato 7 marzo 2015

23! Bucio de c...

Avrò avuto quattro anni. Mia sorella sette. Era una domenica mattina di tarda primavera, quando il sole sta scaldando i muscoli. L'ideale per volare sopra la città. Con un aereo vero e proprio, perché di voli con la fantasia avevo già il patentino. Il mio passatempo preferito consisteva nello sdraiarmi sulle piastrelle amaranto del balcone di mia nonna, per fissare il cielo e il movimento delle nuvole. Quanto silenzio faceva la mia mente, allora. Oggi, devo stancarmi come un cavallo, sfinirmi per oltrepassare la coltre dei pensieri. Ricordo il rombo di quel piccolo velivolo. A fianco del pilota sedeva il mio papà, dietro la mamma in mezzo a me e mia sorella. Passai il tempo a guardare la strumentazione di bordo, stordito dal rumore del motore. Anche perché non arrivavo al finestrino. Mi avevano legato come una salsiccia, non vedevo quasi nulla. Ero stato più affascinato dal maneggiare del pilota e dalla bocca di mio padre che vedevo muoversi, senza capire cosa dicesse. Sembrava un pesce. D’altronde, anche quando lo sentivo, ero molto più sensibile ad un incomprensibile tono duro che alle parole. Comunque, fare una cosa apparentemente eccezionale come volare, era stato meno affascinante dell’immaginarlo. Sarà lì che ho cominciato a fuggire nell’immaginazione? Credo di no, ma quando mi sdraiavo a fantasticare dimenticandomi di me stesso, rotolavo in piena estasi fra soffici nuvole che prendevano vita, diventavano personaggi di storie mirabolanti, cose, animali. E se mi voltavo, sotto di me c’era il vuoto. Mia nonna abitava al secondo piano. Cosa darei oggi per farle una sorpresa, suonare il citofono, farmi aprire. Lei non c’è più da ventitré anni. A Roma, quando si esclama: “23!”, qualcuno ti risponde con un sorriso “..bucio de culo!” Il ventitré porta bene. E quanto me ne ha portato. Nessuno mi ha voluto bene come lei. Nessuno. Si sarebbe fatta ammazzare cantando per me, senza pensarci. L’unico esempio di amore incondizionato che abbia conosciuto, ma che fortuna avere qualcosa da cui attingere. Di quella gita in aereo, mi rimane un acufene e l' eccitazione di mia madre e mio padre. Un piccolo momento di famiglia felice, a cui non ho mai partecipato. Io e mia sorella dietro, avevamo già perso la spensieratezza, eravamo stati trasformati nei loro genitori, come capita a milioni di cuccioli messi al mondo da bambini che a dispetto delle apparenze, non sono mai diventati adulti. Poverini. Figli come oggetti di proprietà di cui disporre a piacimento, da succhiare loro l'amore fino all'ultima goccia. Certi genitori andrebbero ammazzati. Io li ho perdonati. Forse. No.

Se potessi tornare indietro, mi accosterei a me stesso nella culla. Vorrei sedermi vicino ed accudirmi in silenzio per tutto il tempo del mio dormire. Vegliarmi. Vorrei stare lì, guardarmi, struggermi del più dolce amore mai provato, accarezzarmi la testa. Sussurrarmi la persona meravigliosa che sarei diventata. Vorrei essere lì per proteggermi, per riversare su di me tutto l’amore che meritavo, perché figlio, perché creatura. E se mi fossi svegliato e avessi cominciato a piangere, avrei voluto essere lì per prendermi in braccio, facendomi sentire al sicuro. Mi sarei calmato cantandomi una nenia, un dolce miele per le piccole orecchie di quel dono di Dio che sono stato. Io, madre e padre di me stesso. Felice di avermi avuto. 

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