Vento che soffia via tutto. Spazza col sole, con
la pioggia. Picchia la pelle, gira gli ombrelli, duella con le sciarpe per
attaccarti alla giugulare. Dove bisogna mirare. Questa volta, mostro il collo.
Spazza il pomo o vento, porta via tutte le urla soffocate. Restituiscile al
cielo, qui oramai ostruiscono il fiume. Sono morte insieme alle tonsille, un
giorno adulto. Adulterio, tradimento di chi ha voltato le spalle violando un patto sacro. Quanta straripante innocenza in quei piccoli occhi per comprendere lo scempio: via a sorridere sulle
nuvole, mentre qualcuno ha nascosto sotto un’ugola assettata di vita, il fuoco di un dolore grande da
sopportare. Come polvere sotto un tappeto. Vieni vento,
rinfresca. Divampa, che bruci tutto, si mondi, purifica. Carezza ruvida, ti
apro i polmoni e inspiro profondamente. Vieni o vita, spalancami da dentro,
entra in me fino all’osso sacro. Accendi il serpente, che morda il culo allo
struzzo con la testa sotto la sabbia. Digli di guardare, che può guardare senza
scappare, senza abbassare lo sguardo. Le sue sono piume di giustizia, tutte
uguali. Da farsi aria, come un antico faraone. Mira alla gola e libera un
canto, una nenia di babbuino che sorseggiando latte cosmico aggancia un destino.
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